JUDO: Il senso del viaggio – La bellezza di un viaggio sta nel percorso non nella meta

Il mio viaggio nel mondo del judo ha avuto inizio 43 anni fa. Il 17 dicembre, dopo tre decenni, ho raggiunto un nuovo traguardo: il cambio del colore della mia cintura, segnando così un nuovo inizio. Questo esame era riservato a soli 20 partecipanti in tutta Italia e richiedeva il superamento di tre prove. La prima consisteva nel raggiungere almeno 30 punti, valutati sulla base di parametri specifici stabiliti dalla federazione, considerando risultati sia come atleta che come tecnico accumulati nel corso degli anni. Ho superato il primo step con oltre 40 punti, ma solo 15 di noi sono passati alla fase successiva.

La seconda prova consisteva nell’invio di video che mostrassero un kata (forma) a scelta e il mio tokui waza (tecnica preferita) in tutte le sue forme, difese, direzioni e prosecuzioni in ne waza (passaggi a terra). Anche questa è stata superata, riducendo i candidati a 13. La terza, ed ultima, si è svolta al Palapellicone di Ostia Lido (RM), di fronte alla commissione, presentando l’ITSUTSU NO KATA, un kata corto ma complesso che rappresenta i 5 principi dell’acqua. Finalmente, ho ottenuto la tanto agognata cintura Bianco/Rossa 6° dan, ma è solo l’inizio di un nuovo percorso.

Vorrei soffermarmi non sulla meta, ma sul percorso, poiché è questo che dà significato al traguardo che abbiamo raggiunto. Ho trascorso due anni di preparazione con i miei uke: dapprima Arianna, cintura nera 1° dan, che per motivi lavorativi ha dovuto trasferirsi, quindi sua madre Daniela, cintura nera 4° dan, si è offerta come Uke per l’Itsutsu no kata. Poi Simone, cintura nera 2° dan, per la parte del tokui waza e infine Lorenzo Prina, cintura nera 5° dan e campione del mondo di Kata per il Kodokan Go Shin Jutsu (kata della difesa personale). Trovare il tempo per prepararci è stato difficile, ma grazie all’impegno di tutti, lavorando durante l’estate e dedicando tempo in palestra dopo gli allenamenti, siamo riusciti a prepararci al meglio.

Partiamo la notte tra venerdì e sabato, io, Daniela e Federica, per incontrare Lorenzo Prina al Palapellicone insieme ad altri due esaminandi della Lombardia: Andrea Dinolfo, eclettico membro della Scuola di Judo Monza, e Giuseppe Ninfo del Judo Rozzzano. Nel pomeriggio del sabato, approfittando della sessione d’esami dei 5° dan, ci siamo appartati nella palestra accanto per continuare a provare i nostri kata per almeno altre due ore. È stato bello ritrovarci tutti insieme, tra vecchi amici e nuove conoscenze. Lorenzo, soprattutto, è stato fondamentale nel nostro viaggio nel judo, trasmettendo il vero senso di questa disciplina con umiltà e senza aspettarsi nulla in cambio.

La via, il DO, si percorre passo dopo passo: se un passo è intenso e perfetto, lo sarà anche quello successivo. Il presente è qui e ora. Ma quale significato hanno le cinture nel judo?

La cintura bianca rappresenta l’ingenuità, il “vuoto” nella sapienza. La cintura gialla simboleggia il seme, la conoscenza embrionale verso cui l’allievo tende nel suo cammino. La cintura arancione è il momento in cui l’allievo è ancora inesperto ma conosce qualcosa, quindi deve stare attento all’aggressività. La cintura verde è l’equilibrio, trovandosi a metà strada tra due opposti. Il seme è cresciuto, è una piantina che ricerca il bilanciamento tra tecnica ed esuberanza. La cintura blu rappresenta il cielo, la conoscenza suprema a cui l’allievo aspira, ormai immerso nella disciplina e insaziabile di apprendere. La cintura marrone è il colore della terra, al quale l’allievo dovrebbe idealmente ritornare, rimanendo con i piedi per terra. Con l’esperienza, le tecniche iniziano a impattare. Nonostante si sia allievi anziani, le tecniche iniziano a diventare pericolose e per questo serve ritornare spiritualmente ad essere piantine per non montarsi la testa e strafare.

La tanto agognata cintura nera non è che un altro inizio, l’inizio di un percorso più avanzato. Il nero simboleggia il pieno, la somma di tutti i colori, ma dalla parte opposta. Nonostante l’allievo abbia molta conoscenza, è anche il colore del buio. Da piante ormai grandi, si proietta ombra e si regala freschezza alle altre piantine più piccole. Tuttavia, l’ombra è anche dentro di noi. Anche se si è esperti, non si è ancora maestri assoluti. C’è sempre qualcosa da imparare e, nonostante le cinture colorate debbano salutare per prime secondo l’etichetta dei dojo e siano tenuti a rispettarle, non bisogna cadere nell’oscurità delle false certezze.

Si narra di un novizio delle arti marziali che, iniziando il suo percorso con la cintura bianca, era solito lavare l’intera uniforme da addestramento tranne la cintura. Con il passare del tempo e il costante allenamento negli anni di pratica, tra sudore e sangue, la cintura cominciava gradualmente a cambiare colore: da un giallo sbiadito, passando a un mix tra verdognolo e marrone chiaro, per poi scurirsi ulteriormente diventando marrone sporco, fino a un nero molto usurato, a dimostrazione che l’arte era stata perfezionata. Da qui nasce la tradizione di non lavare mai le proprie cinture durante gli anni di pratica, nella speranza di conservare un aspetto usurato come simbolo dei duri anni di allenamento.

Secondo il Fondatore, dal 1° al 5° dan, l’evoluzione judoistica prevede un potenziamento dell’ego e la personalizzazione della tecnica, alla ricerca della massima efficacia. Dal 6° al 10° dan, la personalità judoistica si affievolisce e il praticante si avvicina sempre di più all’universalizzazione della tecnica. Fino al 5° dan, l’esperto pratica le sue “specialità”, successivamente ricerca la forma pura della tecnica. A partire dal 6° dan è prevista una cintura di cerimonia: bianca e rossa per 6º, 7º e 8º dan, rossa per i successivi.

Il lunedì successivo al mio esame, avevo precedentemente deciso di dedicare una lezione in onore del mio maestro, scomparso nel 2020, per celebrare il raggiungimento di questo traguardo. In quell’occasione, molti amici sono venuti a trovarmi, tra cui il Campione d’Europa Francesco Lepre, già 6° dan da molti anni. Quando gli chiesi se sarebbe venuto, mi colpì la sua risposta: “sono molto occupato, ma so che ci tieni e quindi non mancherò”. Erano presenti anche Eugenio Verga, ex arbitro nazionale e anch’egli cintura bianco/rossa 6° dan, Franco Zucchetti, arbitro nazionale, Omar Zoller, mio vecchio amico e rivale nelle competizioni, e molti altri. Ma ciò che mi ha emozionato di più è stato l’abbraccio sincero dei miei allievi e la presenza di molte persone che non avrei immaginato sarebbero venute per onorare Gianni.

Ciò che conta ora non è solo il traguardo raggiunto, ma ciò che esso simboleggia: l’inizio di un nuovo viaggio. Perché senza un nuovo viaggio, tutto ciò che ci circonda perde il suo significato. Nel judo non si smette mai di imparare e ci sono ancora molte cose da apprendere per me, così come da trasmettere ai miei allievi. Gianni avrebbe voluto vederci sempre uniti, perché il senso non è quello di mettere avanti il proprio ego, ma di portare avanti tutti insieme il nome della nostra scuola e far si che dopo di noi, i nostri allievi proseguano con lo stesso intento. Spero sinceramente di continuare a farlo, poiché questo è il compito che il mio maestro mi ha lasciato.

Ciao a tutti e grazie per l’attenzione.

Gabriele

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